La verità sullo Statuto: quando vogliono far passare le nostre perdite come degli sprechi

Eg. Dr Francesco Cancellato mi trova pienamente d’accordo su quanto scritto nel suo articolo, tuttavia debbo dissentire da quanto scrive nel cappelletto, ovvero: “Via lo Statuto che ha prodotto solo sprechi e clientele”, infatti non comprendo se Lei allude allo Statuto applicato integralmente o allo Statuto dello status quo.
Nei fatti, lo Statuto è – o quantomeno sarebbe – una risorsa essenziale della Sicilia, anche se capisco – ma non condivido – che lo Stato possa considerarlo poco rilevante dal suo punto di vista, dal momento che si parla di benefici per una specifica regione, a svantaggio del potere centrale.
Vorrei fare un breve cenno sulla genesi politica dello Statuto in argomento, il cui compito era storicamente volto a svuotare il Movimento Separatista Indipendente nato nel dopoguerra. In conseguenza di ciò, precedendo di fatto la proclamazione della Repubblica, venne emanato il Regio Decreto del 15 maggio 1946, meglio noto come “Statuto Speciale” e successivamente inserito in Costituzione. Esso, in buona sostanza, creava una Sicilia alla stessa stregua di una Nazione Confederata all’Italia, anche se va detto che, per motivi economici, tale norma costituzionale resta ancora oggi disattesa.
Come già detto, tutt’oggi lo Statuto rimane solo su carta, senza trovare applicazione nei fatti, il che provoca danni economici incommensurabili a noi siciliani e lei, parlando erroneamente di sprechi, forse si riferisce proprio a questi.
È venuto il momento di fare il conto di quante entrate perde – perché si tratta di perdite, non di sprechi, appunto – ogni anno la Sicilia per la mancata applicazione dello Statuto.
• Secondo studi recenti, alla Sicilia, nonostante le previsioni normative, non arriva più del 30% dell’Iva e dell’Irpef riscosse. Per non parlare di tutti i versamenti telematici che, con la scusa dei server posti fuori dall’Isola, rimangono allo Stato. È sotto gli occhi di tutti inoltre che la Sicilia non riceve alcun finanziamento ad hoc. Semmai è vero il contrario: alla Sicilia vengono tolte risorse che vengono investite altrove.

• Alla Sicilia spetterebbero poi altre imposte indirette per un totale di 5 miliardi l’anno, compreso un miliardo circa di entrate da giochi e scommesse. Di chi sono? Secondo lo Statuto, quelle di produzione e quelle da scommesse (parliamo solo del gioco del Lotto) dovrebbero essere dello Stato, fatto salvo il diritto di compartecipazione della Regione (ai sensi dell’art. 119 Cost.) quando questa si faccia carico di funzioni statali. Considerato che lo Stato si dovrebbe occupare in Sicilia solo della difesa, delegando tutto il resto alla Regione, mi chiedo dove finisca tutto questo denaro. Dal momento che la difesa non costa più di un miliardo l’anno (ivi comprese le imputazioni alla Sicilia delle missioni all’estero, di cui nulla ci importerebbe) potremmo benissimo rivendicare la compartecipazione di tutto il resto.

• Poi, correttamente, tutto ciò che non è imposta di produzione, ma di consumo, come le accise sulla benzina, o le imposte sul consumo di energia che troviamo in bolletta, dovrebbero essere tutte regionalizzate all’origine.

• Non troviamo nei CPT questa distinzione. Tuttavia, tenendo conto delle spese militari che abbiamo detto, la Regione potrebbe vantare altri 4 miliardi di entrate l’anno.

• Quasi 11 miliardi di imposte dirette e IVA non girate alla Regione o agli enti locali. Poco più di un miliardo di gettito IRES di imprese non residenti (art. 37).

• Circa 4 miliardi di altre imposte indirette, illegittimamente trattenute dallo Stato, o di mancate compartecipazioni ai tributi erariali residui.

• Circa 2 miliardi di entrate patrimoniali e simili.

Siamo arrivati a circa 19 miliardi e non abbiamo parlato ancora di Fondo di Solidarietà Nazionale (art. 38). In realtà non ne abbiamo più voglia. 19 miliardi l’anno sembrerebbero già sufficienti.
A questo punto c’è l’altra faccia della medaglia: ammettiamo, per pura ipotesi, che lo Stato acconsenta a lasciarci i nostri tributi. Giustamente, pretenderebbe di tagliare i trasferimenti a Regione ed Enti Locali e di trasferire a quest’ultimi le funzioni che ancora svolge per noi.
Da qui che il pregiudizio dei media nazionali, a partire da quelli del Nord, i quali sostengono che la Sicilia è la zavorra d’Italia, visto che il settentrione “finanzia le esigenze dell’isola”. Infatti le correnti filo-governative ci dicono: “voi siciliani trattenete pure il 100% (abbiamo visto che non è vero) e ci sarà l’immediato default della Sicilia”.
E allora andiamo a vedere questi finanziamenti che arrivano dal Continente, sempre dalla stessa fonte: i “Conti Pubblici Territoriali”.
Anche depurando le spese dai conti previdenziali, i CPT ci danno circa 17 miliardi di spesa statale nell’Isola, 14 miliardi di spesa regionale e nemmeno 6 miliardi di spesa degli enti locali. Detta così sembrerebbe ancora che lo Stato faccia molto per noi. Ma a ben vedere, come al solito si trovano molte sorprese sulla cosiddetta spesa pubblica statale. Intanto 4 dei 17 miliardi sono dati da spesa in conto capitale. Questa, vista ancor più da vicino, non è che una partita contabile. Si tratta infatti quasi completamente di concessioni di crediti, partecipazioni azionarie, cioè di partite con le quali non si trasferisce definitivamente ricchezza dallo Stato alla Regione ma, dal punto di vista economico, si rafforza soltanto la presenza dello Stato in Sicilia. Le vere spese in conto capitale (investimenti più trasferimenti in conto capitale) ammontano a un miliardo l’anno. È proprio questo quello che l’Italia ci dà per la perequazione infrastrutturale, niente di più, ed è una cifra molto lontana da quanto previsto dall’art. 38.
Tuttavia, sarebbe meglio non volere più niente dall’Italia. A questo miliardo di spese in conto capitale si aggiungono, in teoria, 13 miliardi di spese correnti. Vediamo anche queste più da vicino e scopriamo altri artifici contabili. 3 miliardi e mezzo sono rettifiche di entrate che lo Stato ha a livello centrale e che, non sapendo come ripartirle, nei CPT sono attribuite alle Regione in proporzione alla popolazione. Non sono quindi vere spese. Se fossimo confederati all’Italia questa posta non esisterebbe. È una pura partita contabile.
Insomma, finora questi NON SONO soldi spesi in Sicilia. Sono rimasti circa 8 miliardi! Circa un miliardo per la difesa, circa 2 per interni e giustizia, circa 3 per istruzione e università, e il resto per non meglio specificate spese di assistenza, beneficenza e varie. Fine della storia. Punto. Questo è quello che lo Stato spende realmente per noi, oltre ai trasferimenti a Regione ed Enti locali. Questi trasferimenti sono pari a 3,5 miliardi circa per la Regione (di cui più di 2 solo per la Sanità) e a 2 circa per i Comuni e gli altri Enti locali. In tutto lo Stato ci “regala” 13,5 miliardi.
Lei parla dei dipendenti amovibili, ma non spiega come mai tutti i presidenti sono sempre stati allineati ai governi centrali, i quali, per questioni di opportunità, hanno permesso di fare puro assistenzialismo. Stessa cosa dicasi per i Comuni. Infatti tutta l’attività politica, sia regionale che degli Enti locali, è controllata meticolosamente da un non-siciliano voluto da Renzi: il Dr. Baccei.
Per quanto sopra menzionato, io non definirei lo Statuto una fonte di spreco, ma un mancato introito e quindi deficienza economica.
Termino dicendo che i siciliani pagano le stesse imposte con le stesse aliquote dei lombardi, con la differenza che non hanno strutture e infrastrutture adeguate ad una regione normale. E come se ciò non bastasse, i prodotti made in Sicily, l’agricoltura e la pesca non sono stati difesi né a Roma né in sede UE, a cominciare dal grano.